Paolo Galvagni 

Translator

    no
la rivoluzione non serve
se c'è
internet

anche per pensare
occorre tempo
è giusto?

e pensare al contempo
due pensieri
non è possibile

chiedo perdono
siete tanti
e ci sono anch'io

si corichi... non respiri

che bello
fosse sempre così

Divieto di balneazione
ma le papere
non ubbidiscono

i miei versi
sono molto semplici

ne ho già
scritti molti

lei concupiva
il mio corpo
e io concupivo
molti corpi 

sera
guardo film muti
nelle finestre della casa di fronte

ho incontrato due piccoli gemelli
e anche se erano del tutto identici
mi ha guardato
uno solo

gli uccellini si sono svegliati

ed ecco le persone
hanno pestato il soffitto

se fossimo pesci
nuoteremmo

se fossimo uccelli
voleremmo

ma siamo esseri umani
e stiamo coricati a letto

guardare il cielo non è dannoso

scrivendo al buio
non ho notato
che la penna non scrive

a chi affittare l’appartamento in modo che sia
una persona affidabile e non imbratti tutto
e paghi anche regolarmente
inoltre, sì, i rubinetti perdono un po’
e le mattonelle cadono costantemente proprio nella vasca
l’appartamentino è piccolo, anche se
è in centro, ci sono molti mobili inutili e gli scarafaggi
ma quello che conta – dove vivrai quando l’avrai affittato?

quando con lo scafandro della pelle molto sensibile
in uno stato di completa imponderabilità
giaci immobile sul divano
e dentro tutto si appanna per il tuo respiro
chiudi gli occhi e senti cantare
oltre il fiume, oltre il burrone, oltre il bosco
quasi fossero le molle arrugginite del divano
ma attendi una cosa sola: che possa entrare
nei polmoni insieme a una tirata breve e intensa
la forza di gravità quasi dimenticata

I versi dopo i versi assomigliano a versi
e non assomigliano a versi
esalano l'odore di pelle consunta
di metallo riscaldato — che fare, allora?

non scrivere affatto? Creperai di malinconia!
Poseranno una pietra con l'iscrizione "Passante,
fermati accanto alla lapide,
è tutta imputridita, per l'invocazione a Dio

non c'è una rima forte, né una mano sapiente
né una bocca aperta — chiudi almeno le palpebre".
In lontananza strepitano i ceceni e gli aztechi

qui c'è un quieto biancore, come in farmacia —
ora tintinnano le ampolle sul bancone,
ora una monetina scivola e rotola

sulle mattonelle — verso dove?! Si è adagiata come un'aquila
in un angolo dov'è la gloria dove un rombo vittorioso
risuona nei versi a proposito e a sproposito

Prima mia madre, poi mio padre
Sono tornati nel Cinquantanove
E si sono ristabiliti nella casa,
In cui vivevamo un tempo.
Tutto è di nuovo al suo posto.
Come il fumo delle sigarette sulla specchiera,
Sono svaniti il torto
E la ragione, i dissapori, perfino
La mia giovinezza –
Di nuovo non conosciamo il futuro.
Da ora, famiglia estinta,
La tua vita è intoccabile.

Identificatisi finalmente
Con il mio amore infantile,
Prima mia madre, poi mio padre,
Vengono al mio capezzale
A congedarsi per la notte e corrono
Dalla mia cameretta nella stanza accanto,
Da dove giunge il vocio, il fumo conviviale,
Il tintinnio dei bicchieri e, naturalmente,
Le accese discussioni di Mjuda.
Nel Novanta non sono ancora alto
Abbastanza per porgere in fretta
La spalla sotto la bara di Mjuda.

Menti, memoria, menti serenamente:
Non ci sono testimoni, io sono l’ultimo.
Riduci il fragore della tormenta,
Perché il giovane libero pensatore
(Ragazzo curioso!) si entusiasmi
A sentire, attraverso la parete,
Come il padre intellettuale celebra
Il sistema multipartitico.

Ogni parola del poeta
si rivolge contro di lui.

Ha scritto molto in gioventù?
– È la conversione del desiderio sessuale in energia creativa.

Ha scritto molto in età matura?
– È la conversione della crisi di mezz’età in energia creativa.

Ha scritto molto in vecchiaia?
– È la conversione della paura di morire in energia creativa.

Quanto ha scritto ha una sua spiegazione col senno di poi.
A chi scrive non è dato essere intelligente per tempo.

Si può non scrivere del tutto.
Non scrivere del tutto è impossibile.

Annoverarsi tra gli estoni – la lingua madre è il russo.
Annoverarsi tra i russi – non è quello il temperamento.
Definirsi europeo – un privilegio degli eletti.
Cittadino del mondo – è troppo astratto.

Non resta che essere semplicemente un cittadino.
Ma capiranno?

No, non voglio andare a Mosca —, per vedere che cosa?
Non voglio la Piazza Rossa, né il Patibolo,
Né San Basilio il beato, né Ivan il Grande.
Né tanto meno la Stazione Rižskij.
Né la Piazza San Marco, né la Ringenstrasse,
Né l'Albert and Victoria Museum,
Né l'architettura imperiale, né l'Alexanderplatz,
Né te, perché questo amore parla tedesco,
Né una catena di fuochi dall'alto, né la stella Marlene
Sull'asfalto di una città del sud, la seta bianca, l'acetilene,
Niente di romanico, fastoso, vitale,
Niente di barocco, grandioso.

Voglio il parco Petrovskij, il giardino Primo Maggio,
Dove i gay si incontrano accanto alla toilette bianca,
La piccola chiesa con poveri e miseri affreschi,
L'antico teatrino, rosso e dorato,
Dove tre dive cantano stonando,
Avventurieri di passaggio, come nel XIX secolo,
Attori italiani, mangiatori di serpenti, la folla,
Edifici gialli e bianchi, azzurri nella neve.
In breve, qualcosa di profanato, privo di grandezza,
Toccante, che esprime la disgregazione, l'imperfezione.

Ecco, non posso dimenticare i migliori al mondo,
I maghi del "Parsifal", i flauti ghiacciati,
La primavera, ansiosa di penetrare i nostri cuori —, vaghiamo,
Scendiamo lentamente dal monte verde azzurro.

Groznyj devastata…
                       Le bombe sotto vuoto…
Là chi crederà in Dio?
                       Dicono anche che non ci sono
Atei nelle trincee,
                       e la pallottola dell’odiato nemico
Non ti colpirà,
                       se pregherai Allah
O il Dio russo