Elena Ponzio 

Translator

La notte il mio cane prega
il dio dei cani,
di giorno agita la coda,
e solo gli occhi tristi rivelano –
che lui sa tutto,
che lui conosce
non solo il finale di „Zanna Gialla“*
Io sogno,
come faremo insieme
tutte queste piccole cose da cani,
anche se lui vorrebbe di sicuro
bere con me un bicchierino o due,
e poi iniziando a barcollare, dicesse
– Mi sono stancato di questa vita canina
del pelo nero, e persino del dio dei cani
probabilmente inventato dagli umani –
gli umani si inventano di tutto,
persino che noi, cani, non li comprendiamo

* Brisiaus galas, “La morte di Brisius” è una storia lituana che può trovare un’analogia con la storia di Zanna Gialla, forse più ben nota al lettore straniero N.d.T.

– non importa, dico, non importa
questa primavera si fa tutto follemente così verde,
fiorisce così tanto, che anche il mio grembo
fa crescere erbacce e sboccia
assieme agli alberi
Stelle della sala operatoria così luminose
e soltanto un desiderio mentre cado
in un scivoloso vuoto di coscienza – – –
ed ecco che nuovamente prendo fiato,
e l’ultima immagine prima di aprire gli occhi:
il mandorlo in fiore del nostro giardino
– Come si sente?
– ho sognato la primavera, – rispondo
ancora aggrovigliata dai fili dall‘anestesia
avvolta dai cateteri come piante rampicanti,
mentre l’anima dal flebo faceva ritorno in corpo
– non importa, dico, non importa
Solo il mio grembo graffiato ancora punge
solo più forte la vita scorre là fuori
più forte risuona il ticchettio degli orologi

Troppo piccola questa città per nascondersi
Tanto qui incontrerai sempre tutti coloro
che incontri più volentieri –
quelli che non avresti mai voglia di incontrare

Il più delle volte nei centri commerciali,
ce ne sono tanti, sono grandi, anonimi.
Ma proprio là tocca nascondersi dietro al detersivo in polvere
(leggero segnale di purificazione dell‘anima).

Dicono sia meglio nascondersi in posti più visibili
e così mi posi accanto alle parole, rese oggetti,
e alla persone, rese parole
là, dove più facilmente potete trovarmi,
dove ho un nome,un cognome e documento di identità
Un peso così in una tabella di bei numerini,
una tazza di caffè e alcune sigarette
che condividiamo coi fratelli di solitudine
e che giriamo come una canna
Troppo piccola questa città per nascondersi
e troppo grande per essere trovati

Le labbra di lui mi ricordano
un seme di girasole non sgusciato
così anche il loro sapore:
salate, un poco pungenti
sono come gusci di seme socchiusi

quando la mia lingua sfiora il suo orecchio
ho il ricordo di Van Gogh e penso,
cosa accadrebbe,
cosa accadrebbe, se dessi un morso

Non voglio restituirgli
il suo corpo
in cambio lascerò petali gialli
e semi neri

Che cosa crescerebbe se si piantassero le sue labbra?

La letteratura non concepisce la donna che si depila le gambe.
(da lezioni di teoria della letteratura)

I. LAMETTA

Un cagnolino lecca le gambe a una donna
Rosicchia coi dentini affilati
l‘osso ricoperto d‘erba
Lascia un segno rosso
sull'altro lato
della pelle

un gatto dorme sotto al braccio di una donna
ogni tanto gioca tirando i capelli
la donna, incorniciata dal nylon, schiuma,
asciugamano per il viso e nel regno delle tenebre
dipinge un ritratto di qualcuno simile a lei
(mentre bottiglie di trucco pian piano si svuotano)
Il bagno trasforma la donna
L‘orologio fa sciopero
Lo specchio annuisce
– ora puoi andare.
Rientrata a casa, la donna
Si lava via il sale del sudore
Leva via l‘ombretto
rimuove il rossetto
e nella più sola delle stanze
libera l‘acqua, il corpo tutto il giorno affaticato,
il cane e il gatto
a pascersi d‘erba


II. LAMETTA

Una falce, stacca i trifogli della gamba
Un' aspirapolvere risucchia la peluria
Una barchetta, gratta coi remi la superfice delle vene allargate

Uno scheletro con la falcetta, “dalla polvere alla polvere”, fiumi dell‘aldilà greco –
Depilarsi le gambe – quasi come morire
La morte è la donna
Che si depila gambe e ascelle

Agitando non una falce, ma una lametta
Trasformando le persone in cera depilatoria
Cantando allegramente:

I’m your Venus! I’m your fire, at your desire!

Tutte le città italiane – sono di genere femminile
Lo Stivale batte gli alti tacchi in segno di approvazione

Le città – madri che cullano la figlioletta, civiltà
Le città – amanti che prendono il sole, con le belle gambe appoggiate sugli Appennini
Le città – mogli che in cucina fan risuonare i piatti, pestano il basilico, tagliano dolcemente la mozzarella e fan bollire la pasta
Le città – sorelle in attesa dei loro fratelli, con le urla intente a coprire le Sirene
Le città – amate
Le città – figlie
Le città – orfane
Le città – donne abbandonate:
Roma, Genova, Firenze, Venezia, Udine,
Bologna, Pisa, Milano, Verona, Ravenna

Le città italiane sono donne
Le donne italiane sono città

Mamma, com’è che è successo?
E chiedo e richiedo, ormai, direi, già adulta

Oramai è raro che salga su una sedia per raggiungere qualcosa in alto

Ora tendo a raggiungere ben altre cose
ad esempio, finire gli studi,
perché i miei genitori possano di qualcosa andar fieri
perché i parenti giudichino con più indulgenza:
beh, dopo tutto ha una laurea

Mamma, com’è che è successo?
Fin dall’infanzia, disse lei, ero irrequieta
cercavo sempre di sapere che ne sarà una volta cresciuta

Ancora oggi mi sbuccio le ginocchia
Scelgo strade sbagliate
Mi riempio di lividi come da bambina
Le dita si sporcano d‘inchiostro

Questa scrive, scrive – e cosa farai con la laurea?
Non hanno molto di cui andar fieri
i miei genitori davanti ai parenti

Mamma, com’è che è successo?
E non so perchè, anch’io come un bambino, non volevo diventare parrucchiera
bensì astronauta

E poi iniziò: orecchini, salire sulla finestra,
star fuori casa, gli amici, la birra – Mi sento come appena sbarcata sulla luna

e poco dopo: poesie sul chiaro di luna
e la ricerca dei momenti migliori – come diceva il nostro Macernis[1]

Non sono arrivata a fare acrobazie aeree
e tuttora
soffro ancora
di vertigini

[1] Vytautas Macernis (1921-1944) poeta lituano, viene citata una frase che racchiude l’essenza della poetica dell’autore, il valore della vita e di ogni momento prezioso della nostra esistenza N.d.T.

Nel centro storico, nella casa,
dove tra le due guerre viveva
mia nonna e nacque mio padre,

sotto la soffitta, dove facevano la fame,
c'è adesso un ristorante alla moda,

Eccomi alla sua inaugurazione,
con in bocca cibo elaboratamente preparato
e uno strano senso di colpa nello stomaco,

e solo il soffitto mi separa dallo spazio,
dove lei lasciò un biglietto,

con la mano anellata sollevo il calice alle labbra
e brindo alla vita
per entrambe noi.

Lui viaggia molto

Ogni volta gli sembra
che la camera d’albergo
gli offra ostinatamente
tutte le sette strade

anche se in questa
ci sono un mini bar e una Bibbia

Due modi
per afferrare il domani.

Lena la cuoca di un piccolo caffè del resort
si appoggia allo stipite della porta mentre fuma.

Attraverso la cortina di pioggia, getta al mare uno sguardo affilato come un coltello, che squarcia i pesci non ancora catturati.

Le tasche vuote del grembiule a pois del tutto zuppo -
ella ha appena restituito per sempre la chiave.

Un pesce con denti affilati sull' insegna del caffè del resort - qui serviamo il piatto della casa “Ucha”2.
In cucina si sente tagliare le teste dei pesci

taa
taa
taa...

l'amante del proprietario si pulisce le mani sui jeans -
è giovane la spia dai capelli color del sole.

Nella borsa di Lena con la cerniera rotta
congelano tre polpette sottratte -
la cena per le due figliole e per sé.

L'ultimo autobus per casa è tra due ore.

Ci sono dei giorni, in cui mandare giù un sorso
è uno sforzo così faticoso e invano.

Giorni, in cui mancano le forze per abbandonarsi
all' armonia del profumo dei boccioli che conducono a te.

Tutto questo affinché accadano i momenti,
quando un'ape che vola davanti ti avvisa:
un, due, tre – apri gli occhi!
E vedi la tesa e splendente
corda dell'esistenza.

Quei fili trasparenti che appena si muovono e
che si divincolano in alto da ogni
forma di vita.

E poi ci sono di nuovo lunghi
lunghi giorni...

(Dopotutto ci sono regali troppo grandi,
per essere impacchettati con eleganza.)

Strappando i propri baci e le paure
ella si sveglia la notte,
per stupirsi di tutto quello che l'ha sostituita.
Paul Éluard

Per il 2055 sarò presto una vecchia rinsecchita
e occuperò meno spazio sugli autobus e nelle file.

Tra mezzo secolo, al mio corpo
guarderanno solo lo specchio del bagno e i medici.

Mi toccheranno
solo le camicie da notte sudate
strappate sotto le braccia.

Allora prima di addormentarmi mi ricorderò
della lingua del mio amato e del gusto della sua saliva.
E di tutti gli altri uomini,
che un tempo mi desideravano.

E ancora – come scricchiola il letto
su cui ci si sdraia
in due

La crocetta sopra il letto dei miei genitori,
La crocetta sopra il letto dei genitori dei miei genitori.

La crocetta tra le mie piccole collinette
nel giorno della Prima Comunione.

Ho imparato i Comandamenti a memoria,
ma non potevo smettere di invidiare
a Lina D. il vestito, che era più bello

Recitavo le preghiere come poesie,
ho confessato tutti i peccati,
ed ero certa, che non ne avrei commessi di nuovi.

Allora avevo undici anni.

Una donna si alzò dal suo asciugamano verde
ed entrò pian piano in mare

(fino le caviglie
fino alle gambe
fino la vita
fino il petto
fino le spalle
fino al collo),

finché la snella figura si dissolse
sotto il tetto delle onde con merletti di spruzzi.

Lentamente voltando le pagine
il vento leggeva il suo libro lasciato sulla spiaggia.

Fattasi sera restituì il piccolo tomo stropicciato alla biblioteca delle dune,
riempiendo le bocche dei personaggi con granelli di sabbia,

sempre vive e soffocanti
per le frasi scritte in una lingua irriconoscibile.

Ella era straniera, sui trent'anni.
Nessuno la conosceva
Era in vacanza da sola.