Antonella Anedda
Spazio della paura diurna
Spazio della paura diurna
A distanza e indietro c'è il sanatorio dove viene ricoverata a vent’anni. Indossa
sempre la stessa giacca di lana a quadri ruggine e nero. La neve sferza la sdraio
dove resta tutta la mattina con una bottiglia di acqua calda tra le gambe. Ha paura.
Di nascosto si cuoce un uovo in un tegame. Tra la porta e il vento il gas stringe il
tuorlo in un fuoco azzurro-rame.
Lei dorme con un berretto di pelo e il petto chiuso mentre la strada scricchiola di
gelo. La notte ha mille astucci. Uno per ogni fiala.
Guarisce. Nasciamo. Siamo piccoli.
Un giorno lei prende la rincorsa verso i muri.
Si ferisce. E' guarita ma è malata.
Ammaina le vele. Scuce l'orlo di tutte le tende di casa
le stacca dagli anelli.
Tutta la stanza tintinna.
Faccio le finestre nude, dice.
Apre i rubinetti.
Accatasta le acque come un Profeta.
E’ la Regina della Notte dalla lunga voce.
E’ Turandot e noi le costruiamo una Città Proibita rovesciando i tavoli e le sedie.
Si avvolge nelle stoffe, si sdraia sul pavimento. E' il Faraone che naviga sul Nilo.
Aspetta che sia tardi. E' tardi, bisbiglia.
(Lei è -e non è- mia madre)