Antoine Cassar

мальтийский

Antoine Cassar

итальянский

Hüzün


İstanbul'da bir güz. Tarifsiz bir hüzün:
toute épreuve n'est qu'ébauche. Schlafwandlerstadt, awash
amid the mist, ambula por la bruma, iroxx
liżar tal-fwar mal-lampa, qui nulle part n'y allume...

Blinking, beckoning, barking, basking in the dusk, strewn
with the absence of May. İpek gibi ve loş,
miroir brouillé de buée où la soif se reproche,
bħall-gawwi abjad ragħwa wara t-tranja tal-barkun.

İşte dumanlı nur, ein staubig Abendsturm,
pátina de hollín. In a back alley lodge,
un derviche s'épanouit comme une orchidée blanche,
reaching up to be gathered with the scythe of tattered moon.

Estambul es distancia, es ansia de otro ayer,
–bugün dün, yarın dün, ve dün sonsuz bir keder–

belt itqarnat max-xatt, titlenbeb miż-żinżifru,
belt tiżżerżaq mis-swaba’ appik appik imissu,
belt titfettet, titfellel, titgerrem mill-bebbux...

Bir varmış, bir yokmuş, açık kanatlı kuş,
er träumt von höherem Flug noch zwischen Sturz und Sturz.

Sous une lune en décours, j'ai lu dans la lueur
l'écriture qui demeure sur les murs de malheur:

Minarets pierce the clouds
pining towards the sun.
The flame has done its rounds.
The light, once more, undone.

Dans l'automne monochrome Istanbul embaume son âme.
Bu akşam boğuyor. Çan. Can. Ezan. Hazan.

© Antoine Cassar
Из: Mużajk. An Exploration in Multilingual Verse
Edizzjoni Skarta, 2008
Аудиопроизводство: Literaturwerkstatt Berlin 2009

HÜZÜN (Tristezza)


Un autunno a Istanbul. Una tristezza indefinibile:
ogni esperienza è solo un abbozzo. Città sonnambula, immersa
nella bruma, girovaga nella foschia, che spruzza
un velo di vapore sul lampione, che non illumina nulla...

Strizzar l’occhio, fare un cenno, abbaiare, crogiolarsi nel crepuscolo, cosparso
dell’assenza di maggio. Sericeo e fosco,
uno specchio sfocato di vapore in cui la sete si rimprovera,
come i gabbiani bianco-spuma che seguono la scia di una chiatta.

Qui c’è una radiosità caliginosa, un pulverulento temporale serale,
una patina di fuliggine. In una casupola in un vicolo,
un derviscio sboccia come un’orchidea bianca,
che si alza per essere colta con un falcetto di luna lacera.

Istanbul è distanza, è l’ansia di un altro ieri,
—oggi è ieri, domani è ieri, e ieri è pena senza fine—

città tentacolare sulla costa, distesa da siccità caustica,
città che scivola tra le dita sul punto di toccarsi,
città fatta a fette, sbriciolata, sbocconcellata dalle lumache...

Una volta c’era un uccello ad ali spiegate,
di caduta in caduta sognava voli sempre più elevati.

Sotto una luna calante, ho visto nel lucore
la scrittura che rimane sui muri del dolore:

Minareti trafiggono nuvole
svanendo verso il sole.
La fiamma ha finito la ronda.
La luce, di nuovo, sprofonda.

Nell’autunno monocromo Istanbul imbalsama la sua anima.
La sera soffoca. Campana. Spirito. Richiamo alla preghiera. La tristezza
dell’autunno.

Traduzione dell’ autore