Nicola Verderame 

Translator

i tuoi occhi hanno appena lasciato la pioggia

così bambini, così grandi, così tiepidi

devi essere città o melagrana,

forse Granada, forse settembre, forse scarlatta

il tuo corpo è la notte d’estate del tuo spirito, o cos’è?

tanto idillio, tanto mare, tanta brezza

la tua infanzia brucia ancora, e ancora t’innamori

come se a me, come se ah!, come se sarà

nemmeno l’amore può riempire lo spazio di alcuni amanti

per questo lode, per questo a te, per questo giugno

se dorme il desiderio, l’anima nuda vaga

da qui il ghazal, da qui la pena, da qui il segreto

i tuoi occhi hanno appena lasciato la città

così pieni, così timorosi, così ricchi di parole

su, parti da quest’amore, annienta nuove città per i nostri cuori

Forse la morte somiglia a una cerimonia del tè, un’aurea

armonia di silenzio, purezza ed equilibrio, lentamente l’ospite

porta la morte alle labbra, un sorso, poi la posa sul piatto,

la riprende con dolcezza, in quest’ora del giorno tutto segue

un corso naturale, un sorso ancora, giungono le cerimoniere,

e perché il silenzio di quest’ora non si frantumi

sotto i piedi affusolati e bianchi, o la morte – ospite divino,

convitato segreto – non torni a mani vuote dalla cerimonia,

si riapre la tenda dell’onore e si accoglie, con la sua lama,

il muto harakiri del giorno

per Şahin Şencan

Mio Dio, mio padrone di casa, dammi il permesso

di restare ancora un po’ in casa tua

il fratello che porto in me è solo

dopo averlo messo al mondo non resterò qui

Mio fratello, mia strada, dammi il permesso

di portarti ancora un po’ dentro di me

non appena ti affaccerai alla vita

il mondo mi vedrà in completa solitudine

Mia vita, mia piccola stanza, dammi il permesso

di cercare ancora la mia strada in poesia

se lo spirito mi verrà incontro forse la troverò

ma quanti fratelli ho smarrito su quella via

                                                        a Mehmet Müfit

Il giorno svanì, gocciolando dalle vesti rossi scintillii
Vagai nel giardino eroso della notte, in una pioggia gialla
Circondata da rocce senza fine,
Memorie si scuotevano in me, l'odore di rame della fuga
La mia infanzia una sala del trono, il sultanato sconfitto a Bursa
Tutte le porte serrate, tutte le porte bastione
Tornai, vidi alle mie spalle il grande specchio riflettere
La pioggia migrante in cui si fondono esistenza e inesistenza.

Il giorno svanì, gocciolando dalle vesti rossi scintillii
Nessuna porta, al mio arrivo. Molo, tramonto,
Scafi affondati verso Rodi. Sul fasciame gonfio
Della galea sentii il soffio del vento,
Inciso sulle vaste acque del mio viso.

Di là alti monti, questa via ripida e amara
Un nitrito, il profumo bruno di una rosa,
Passaggi segreti sotto templi in rovina
E il coro di morti pietrificati in cripte ammuffite
Chi va lì? Viaggiatori inconsapevoli
E vergini in bianchi sudari in quest'alba di primavera.

D'un tratto un fulmine! Apparvero e scomparvero le porte
Sconfitta e pena, esilio e fuga. L'odore di rame
Della solitudine si levava nello specchio perduto del tempo
Questa maledizione incisa sulla fronte, questo viaggio indefinito,
Sentii mille ferri roventi colpire la carne
Del mio corpo sospeso alle feritoie del buio...
Ero sacrificio in un'alba di primavera.

D'un tratto la pioggia! E metà del mio viso lavata via,
Piombo, non ho occhi! Ecco i miei doni per la sposa
Vento con profondi lamenti in cavità isolate
Desolate cavità degli occhi... a chi tocca?
Tutti i compagni di viaggio impiccati all'alberatura
Della mia barca affondata. Mio Cemal*! Sinan* mio!
Dove va questo mare? Siamo rimasti solo noi
E la pioggia a cancellare tutte le porte.

Io, Cem, ancora ieri regnavo su metà di un impero.
La mia immagine è scomparsa dalle monete che ho coniato
Sono morto mille morti, ho visto il mio corpo sbattere sulla riva
Ho camminato legato con funi incerate (molo,
Tramonto, scafi affondati verso Rodi), e ormai
Il mondo non ha più posto per me,
Né palazzo né padiglione, né rango né trono.
Dammi la mano, fratello, vengo con te
Accettami, poi fammi strangolare se vuoi
Parte di me oscurità totale, parte di me... pioggia inattesa!

Seppellirono i giorni nell'urlo sommesso di una foresta,
Nei pozzi senza fondo del suo cuore. Coraggio:
L'oscurità nelle pupille è un paese fatato... e irraggiungibile.

Il giorno svanì, gocciolando dalle vesti rossi scintillii
Un nitrito di cavallo, profumo bruno di rose,
Nessuna porta lì dove arrivai.
Lasciato fuori nel tempo perduto,
Lasciato fuori dalle porte cancellate
In questo freddo, in questa oscurità desolata
Ero solo, solo le mie mani per lanterna.

Tempo di ciliegie, sali sui rami
E getta via i giorni invecchiati e ubriachi,
Il tocco fresco e il brivido che dà
Il serpente che ti striscia sulla guancia.

Pietraia, clessidra infranta della notte
In quell'atlante che non ti riporta
Quale acqua ti farà scorrere
Quale fiume ti porta con capelli di Nilo torbido
Dentro i miei mari prosciugati?

Dove trovare la roccia che muta in sabbia?
Torna al mare, impolverato dalle navi inabissate
Stendi sulle mie labbra secche
Le tue braccia di peluria bionda.

Tempo di ciliegie, giardini, solitudine spinata
Vai, vai e fatti nube, ampiezza senza fine oltre la cima
Orma dei monti, gregge di ginepri nella piana,
Nei tuoi occhi fondi sabbia e sassi in riflusso.

Pietraia, clessidra infranta della notte
Ora strappata via da ogni mappa...

Quando mi tenevi la mano
Il mare premeva su di me
Quando mi tenevi la mano, il cuore
Per giorni si univa alle alghe verdi
Voleva seguire le correnti di fondo

Per giorni mi son chiesto dove nascesse la fiamma segreta
che ti accendeva le pupille. Notti intere a cercare la mia strada
su vette aspre e dure. Si sono spente le luci, e ancora stelle
in caduta nei freddi laghi dentro di me. Quando tenevi la mano
ero io, o un altro forse
a camminarti accanto...
A camminare senza toccare le onde né il vento.

Quando mi tenevi la mano
Un azzurro mi copriva gli occhi
E tutti i mari si ritiravano
Un rombo scuoteva la foresta
Uno stormo di colombe prendeva il volo
Dal cuore avvolto dall'inverno
Quando mi tenevi le mani
Le foglie rosse dei platani invadevano
Le pietre bianche del cortile
E per giorni io
Volevo seppellirmi in quelle foglie e morire.

Eravamo come vecchie case dalle veneziane
Lasciate a sbattere al vento irrequieto e schivo
Quando mi tenevi la mano
Un fiore spuntava spezzando le rocce.

Quando mi tenevi la mano
Il viaggio mi premeva dentro
Legato stretto a nuvole grigie, per giorni...

Anima mia gitana, frena il tuo cavallo
Il nostro cammino s'interrompe qui.
Sera, un uccello dalle ali di vento
Collassa, pesante, è questo l'attimo
In cui viene meno ogni viandante.

Chinati, guardami il viso,
Antiche mappe tracciate nei miei occhi
Vecchie strade cosparse di stelle
Senza più lunghe, lente carovane
Accampate alla riva del fiume
O notti calde d'estate
Dove i nomadi si trovano a bere.

Qui ha un tetto la notte, si schiude
La bellezza femminea della creazione
Siamo giunti alla fine dei giorni
Di amicizia libera e fiera
Quando si dormiva sotto mille e un cielo
E moltiplicandoci amavamo.

Cos'è questa nostalgia, ci consuma
E scioglie le candele in camere socchiuse
Che ora è, dove siamo noi, di chi è questa parete
Circondata da fili spinati?
Di chi è opera questa via scura
Questo sudario candido, questo tempo perduto
Scomparso all'improvviso?

Se scoccassi una freccia abbattendo la notte
I giorni luminosi si chinerebbero a me
Con le ferite appena lavate nei nostri seni nudi
Si aprirebbe il mio cuore
Con suoni e tonfi sui rami più in alto.

Anima mia gitana, frena il tuo cavallo
Il nostro cammino s'interrompe qui.

                              “Noi siamo l'usignolo dalla voce melodiosa
                                                      nel roseto della separazione
                              quando lo zefiro spira nel nostro giardino
                                                  di ogni rosa si fa una fiamma”
                                                                       Sultano Selim III

inverno freddo della nostalgia, desiderio mescolato al fiume,
sui rami la fenice dalle ali intirizzite e nude
fantastica dei cristalli nell'acqua
le nostre voci si ricercano in lontananza
sulle strade alle spalle abbiamo lasciato
i caicchi dolcemente cullati dal fiume
pieni di canti d'oro, gioielli, agata e ambra
i ricordi ebbri facevano traboccare un vecchio vino
rose del colore di un fine kanun fluivano dai giardini
e il vento s'incendiava al solo tocco

l'albero assumeva la forma della pioggia,
un errore guardarlo da lontano
tu restavi lì, all'approdo del giorno
nel presagio caldo delle tracce e della sabbia
una voce argentina si rifletteva nell'altra
un monte offuscava un altro monte
il giorno iniziava al disperdersi
della polvere di quel gregge solitario
e si prolungava l'esilio sussurrato
da un albero all'altro lungo le strade.

ora il tempo leva la sua voce dall'erba rada
una folla sbarca dai caicchi a riva
si lascia l'ombra alle spalle
e lieve si muta in immagine
il ghiaccio dei fiumi si scioglie oltre
per un'ultima volta, voltati e guarda
i bambini raccolgono le tue orme
da una vecchia casa, dalla torre di smeraldo
il vento fa volare le parole delle donne
amate e dimenticate
il male di vivere è passato di qui tracciando un solco,
anche noi abbiamo traversato la notte silenziosa
che sul tetto risuonava di voci a migliaia
per incontrarti: l'Ignoto

dovremo ormai tacerlo, anche parlando
chi comprenderà il nostro dolore
tu, fenice che semini cenere sul colore riflesso nell'acqua
il fiume è fuggito, da tempo
la nostra cenere rincorre la nostra cenere

gusto latte appena munto
il mio sangue scorre dall'incavo bruno fra i tuoi seni
mi immergo nella tua foresta inesplorata e sola,
tu sei tigre e io l'animale che le agonizza davanti
fruscio di serpente nei cespugli bui,
dai tuoi inguini tesi sale questo odore setoso
veleno che mi scorre alle mani. Al tocco si disfa in scaglie
la notte si congiungerà al giorno, la spada al fodero
come fuoco che tocca la foglia e incendia la foresta così
quando mi tendi le mani vita e morte mi chiamano
l'onda diviene cavallo, cavallo che nitrisce e si fa polvere
sui bastioni di una rocca
in affanno rabbioso oltre le rocce.
Il mio amore mette radici
nei rami femmina delle parole e delle voci
batte la testa su spume e conchiglie morte.

ti colori delle pietre raffreddate,
delle statue in bronzo, nudità che porta alla follia
la tua pelle diviene un paese sconfinato nei miei palmi,
una grotta quieta...
dove riposare dopo lunghe esplorazioni
e risvegliarsi ancora

Ho sentito il carosello e l'aria scivolare
Lungo il collo come goccia d'acqua.
Sono cosa incompiuta, e mi completo di te.
Un proiettile forse
Diretto anche a voi, prima o poi.

Sono cosa a cui forme geometriche
Equazioni matematiche non sanno dare senso
Cosa che confonde il senso umido
Per una goccia che scende lungo il collo.

Il fuoco brucia appena la corteccia.
Chi può seccare il fiume nell'albero?
Ho sentito il carosello, ero bambino allora
E il gioco dell'acqua e del fuoco
Era lo stesso di mio padre
Con le mani nei capelli di mia madre.

Quindi sono divenuto cosa da qualcosa,
Cosa che fora l'aria sottile
E disegna una forma lontano,
Come volo umido di gabbiano
Cosa che scivola via dalla vita.

Ho sentito il carosello, foderato con niente
Un albero urlava in qualche posto, una mano batteva sulla porta di ferro
L'aria fioriva, io ero strano, e sfiorivo,
O inseguivo foglie gialle come un vento intempestivo.

Sono acqua distillata dall'alambicco asciutto
E vivo nelle vene dell'albero,
Sono pietra lanciata in aria
O un pallido bacio della dimenticanza
Brivido del salire in giostra con tappi di gassosa nelle tasche
Dico a voi:
C'è vita oltre la collina!

Venite fuori dalle case tetre e dai salotti
Trovate un albero e del ramo più sottile
Fate un arpione
Per affondarlo nel cuore del tiranno!

Ho sentito il carosello, rideva
Come il fiume dentro l'albero rideva
Sono cosa incompiuta, o più ancora
Un proiettile forse
Ma in qualche modo un giorno
Mi completerò di voi.

finì l'incanto, il caicco che agitava l'acqua
si ritirò nel suo guscio sottile
il sasso smise di cadere, il frutto avvizzì sull'albero
la nostra amata invecchiò senza diventar donna

finì l'incanto, ecco il mare, fresca adolescente
la luna in corsa, un insonne nella notte senza nubi
e questa era la stella infreddolita, questo il riflesso dell'albero
come cosa che cade nel cuore, come se, forse

era così e finì, si svegliò chi dormiva e vide
il velato si rivelò, il suono temette l'eco,
l'ombra era senza padrone, l'aquila scovò la preda
dove un cucciolo di volpe inerme si nascondeva.

finì l'incanto, il vecchio tornò a chi lo chiamava
e lì morì ancora, sperando di diventare giovane
la luce si scompose mille volte in tutti i suoi toni
mille volte la grotta straripò delle nostre grida

si richiuse e divenne monte. era speranza impallidita
in fondi di caffè non avverati, spiccò il volo e d'un tratto
si spianarono strade non battute
ma nessuno tornò, neppure la nave silenziosa

finì l'incanto, la serpe si morse
coi denti del piccolo raggomitolato
lo scorpione tornò alla notte, un'aura venne dalla fiamma,
apparve un santo, un poeta, il profeta

si sfilò il turbante, gettò lontano il manto.
nel deserto attraversato dalla via davanti a sé
fino a Hira, il sacro monte, i germogli
ritrovarono l'acqua

finì l'incanto, Dio mio, eccoti trovato
il velato si rivelò, la voce temette la sua eco
e in città, tra gli uomini, il miraggio
si fece reale, ciò che era non era più

finì l'incanto, tu non l'hai visto
era solo un sogno profondo
sull'orlo
del fondo

immerge i piedi nell'acqua fresca
adora la forma che l'acqua le restituisce,
dalle rocce dove corre
un gabbiano spicca il volo
e dalla strada che immagina si avvicina un cavaliere
lei sente sulle guance il fiato del cavallo,
nella goccia di sudore che le scende fino ai seni
le tracce degli zoccoli che hanno percorso tutti i continenti
e nella pelle tesa del ventre
il rimbombo di infiniti tam tam

dalle acque fresche dove tiene i piedi
crea cerchi d'amore e li getta lontano.
una luce abbaglia i maschi caduti in quell'anello
e ne viene fuori un drago
che tiene in scacco gli spiriti in catene

nella selva degli spiriti prigionieri
quanti alberi sarebbero stati la salvezza?
cuori appesi al sole ad asciugare
sulle punte aguzze dei rami
e quanti uomini senza occhi guardano il passato
nei fori scavati da becchi puntuti di passeri
ora attendono il freddo palazzo
della ninfa infedele

come un gioco, ancora i piedi nell'acqua
guarda il sorriso indistinto nello scintillio
innalza palazzi di ghiaccio sulle ferite invernali
e nel ghiaccio la ferita sanguina aperta,
nel freddo palazzo della ninfa infedele
la donna ritrova il nome
l'uomo è tramutato in pietra

benvenuti
per ritornare al giorno in cui ha conosciuto i Suoi compagni di scuola
digiti il Suo numero fortunato
per i giorni in cui correva in giardino senza mai stancarsi
digiti tutti i numeri in ordine sparso
per i vetri appannati delle trattorie da camionisti
digiti l’anno delle ultime vacanze estive trascorse in famiglia

tutti hanno avuto momenti molto incresciosi
non comunichi a nessuno il numero che sta digitando
per le colazioni con té e fagottini sul prato dell’università
riagganci immediatamente ed esca sul balcone
per lamentele sul passare ansiogeno del tempo
prego tenere premuto lo zero con tutta la forza possibile
se si è accorto di non ricordare con esattezza Suo nonno
prego si guardi allo specchio

per l’odore di polvere nelle librerie dell’usato
pronunci la terza lettera del nome
di un lavoratore salariato analfabeta
per la sarta del vostro quartiere
trovata morta fra i vestiti sforacchiati
attendere prego

per quell’attimo di cui non conosce il seguito
in cui sfiorava il collo della donna dei suoi sogni
premere e ripremere lo stesso numero
dopo il bip

e il giorno dopo essere stati lasciati
scriva cento volte sul taccuino non mi innamorerò mai più
biiiiip

che qualcuno lo porti al mare
prima o poi imparerà a nuotare
in acqua, pena o amore
ignorerà il proprio peso
tutto qui

infilando una chiave nel suo orecchio
svaniranno i suoni
ciò che si tace e andrebbe gridato
come canto di cicale
crollerà sulla città
ognuno ne sentirà quanto ne vuole

imparerà a nuotare d’un tratto
mentre osserva i boschi subacquei
e d’un tratto lascerà andare il corpo, o sarà quello ad andare
poi chi è mai il re
e che ora sarà
il pesce dalla sola striscia nera sulla lunghezza
nuoterà intorno tracciando un cerchio
liberando la mente dal pensiero

che nuoti insieme al cane
e insieme con il maschio
nuoti con il mitile staccato dallo scoglio
lì dove guarda chiedendo se c’è il mare
un fondo che non trova l’essere
una faccia che non trova quiete
non si spaventi del mare che è come mare
tema l’uomo che trova a vendere fichi

lascia che cuocia con sale
con debolezza
e sudore
nel mare non c’è scrittura, ascolti la parola, che si trascini
ciò che si tace quando andrebbe gridato
giunge la rana come la sua frenesia
atterra la locusta come in un’invasione
prima o poi imparerà a nuotare
in sé e fuori di sé
non bastano i mulinelli del tè,
qualcuno lo porti al mare…

In silenzio, ho accolto in me la pioggia
ho trovato i tuoi occhi dove li avevo lasciati
ancora una volta ho cancellato la mia storia
rimosso il mio nome dalle strade abbandonate
di me in casa non restano che poche tracce
che voleranno via col tempo
svanendo come il mio odore

e anch’io dimenticherò ogni cosa
la casa per prima, poi le vie e Istanbul
lo so, rimarrai solo tu
perché i tuoi occhi io li ho presi con me

è come se tutto fosse stato già vissuto
ancor prima di attraversarle, conoscevamo queste vie
le parole erano state già scritte
la tristezza dei nostri corpi raffreddati

piccoli frammenti di vita e dettagli trascurabili
erano parte di ciò che conoscevamo
ma non avremmo potuto cambiare nulla
questa vita sarebbe finita così

al termine di ciascun incubo, nell’attesa della calma
c’era una sola frase a cui avvinghiarsi:
“I ragazzi che mangiano il fuoco
muoiono prima dei vent’anni”

Giugno 1990

nessuno può vedere quel vuoto in me
nessuno sa cosa prova chi perde un indirizzo
a restare divisi dai battiti del tuo petto
e non sentire le stagioni nei tuoi respiri, nessuno lo sa

il nostro tempo non accetta chi conosce mille cose
guardano con sufficienza le nostre domande
questo tempo è determinato a essere africano
né basta non essere di questa terra

e poi arrivi tu, una sagoma vestita di giallo
a mostrarmi cos’è che manca nella mia esistenza
io mi ritraggo e impallidisco, il mio corpo si fa leggero
la mia solitudine si diffonde e si moltiplica nella tua voce

Io ormai non ascolto che il canto degli uccelli

9.9.99