Valerio Magrelli
Porta Westfalica
Porta Westfalica
Una giornata di nuvole, a Minden,
su un taxi che mi porta
in cerca di queste due parole.
Chiedo in giro e nessuno sa
cosa indichino - esattamente, dico -
che luogo sia, dove, se una fortezza
o una chiusa. Eppure il nome brilla
sulla carta geografica, un barbaglio,
nel fitto groviglio consonantico, che lancia
brevi vocali luminose, come l'arma
di un uomo in agguato nel bosco.
Si tradisce, e io vengo a cercarlo.
Il panorama op-art si squaderna tra alberi
e acque, mentre i cartelli indicano ora
una torre di Bismark, ora il mausoleo di Guglielmo,
la statua con la gamba sinistra istoriata
dalla scritta: "Manuel war da",
incisa forse con le chiavi di casa, tenue
filo dorato sul verde del bronzo,
linea sinuosa della firma, fiume
tra fiumi. Lascio la macchina, inizio a camminare.
Foglie morte, una luce mobile, l'aria gelata,
la fitta di una storta alla caviglia,
io, trottola che prilla, io,
vite che si svita. Nient'altro.
Eppure qui sta il segno, qui
si strozza la terra,
qui sta il by-pass, il muro
di una Berlino idrica in mezzo
a falde freatiche, bacini artificiali,
e la pace e la guerra e la lingua latina.
Niente. E mentre giro nella foresta penso
all'autista che attende perplesso,
all'autista che attende perplesso
e ne approfitta per lavare i vetri
mentre nel suo brusìo
sotto il cruscotto scorre sussurrando
il fiume del tassametro, l'elica del denaro,
diga, condotto, sbocco, chiusa dischiusa, aorta,
emorragia del tempo e valvola mitralica,
Porta Westafalica della vita mia.