Jaume Pont

katalanisch

Massimo Maurizio

italienisch

Antonio Ranieri davant el túmul mortuori de Giacomo Leopardi

Del fons de l’ànima
sols li arribà la paraula dels morts
i una malvestat de campanes amansida
en la boira del temps
Fou hoste de petits països
i amo líric de terres encara per venir
Avarament la historia
n’ha fet al capdavall el seu recapte
Crideu ara vosaltres
murs adolorits de la ciutat de Nàpols
o mudes barques ancorades
sota la marcida llum de Torre del Greco
crideu i canteu la glòria d’aquest noble
senyor a qui hauran d’enyorar tots
els poetes orfes del futur
Sapigueu que no tingué millor amiga
que la seva imatge esvaïda en la fondària
secreta de l’espill
Així en foren de grans la seva solitud
i l’art amb que embellí el seu sudari
la doble harmonia
d’aquell dolor al qual es mantindrà aferrat
per sempre més
el malguany de la memòria:

sota el cos infidel
la pagana raó de l’existència
amb la ploma però
l’enigma inabastable del seu regne.

© Jaume Pont
Aus: Raó d’atzar
Edicions 62, 1990
Audioproduktion: Institut Ramon Llull

[Di notte, proprio all’inizio...]

Di notte,
proprio all’inizio di un mese incredibilmente caldo,
lui fece il giro di tutti gli altri
e ordinò di radunarsi.
Qualcuno era stato avvertito in anticipo, la maggior parte no.

Dapprima aveva paura
che li tradisse
uno schiamazzo perplesso e timoroso,
un tintinnio degli armadi polverosi,
un trillo isterico dei coltelli.

Poi tutto questo divenne irrilevante.

I lunghi, vetusti piatti da portata per il pesce si lagnarono allarmati,
i piccoli bicchierini piangevano, incapaci di comprendere alcunché,
i ferri da stiro s’adunarono alle porte,
come mandrie sonnolente ed ubbidienti.
I piatti si lanciavano,
senza comprendere come si potessero gettare
tutti quei beni ed effetti muffiti:
le tovaglie scolorite,
gli sporchi asciugamani da cucina,
i sacri tovaglioli della nonna.
Un grasso recipiente per cuocere le anatre, occhiate furtive gettando d’attorno,
ingoiava frettoloso cucchiaini d’argento.
Una saliera agitava la sua sorella polverosa e insudiciata, che isterica ripeteva:
“Ci raggiungerà e c’ammazzerà! Ci raggiungerà e c’ammazzerà!..”

Lui la colpì goffamente
col suo manico unto di legno.
E lei tacque.

Quando infine si misero a scendere il poggio,
il limite del villaggio tutto li sentì,
il villaggio tutto li osservava dalle finestre.
Quando giunsero al fiume di corsa,
lo scalpiccio di Fedora già risuonava
come un brivido nei suoi fianchi di rame,
opachi per l’antico fango.

Le ultime file lo maledicevano,
scivolavano nei fossi, restavano indietro.
Quelle mediane piangevano, lo maledicevano, ma procedevano.
Le prime non c’erano,
soltanto lui,
sulle sue gambe vecchie e spossate,
in quell’orrore silenzioso
di dubbi e responsabilità.

Quando alla fine giunsero al fiume di corsa,
fiaccati, spossati, stremati,
lui si voltò e disse loro: “Ora vedrete,
entreremo nell’acqua e ne usciremo diversi”.

Ma a questo punto le acque del fiume si divisero.

Traduzione di Massimo Maurizio
«La massa critica del cuore...» Antologia di poesia russa contemporanea. — Milano: Mimesis, 2013.