Melinda B. Tamás-Tarr 

Übersetzer:in

Perde il rubinetto, la tazza è sporca,
ti spia la nuova luna come del bisturi la lama.
Mediti se possa ancor peggio andare
oppure se già così non sia altro che una salita…

Come se a me, vecchio buffone!, dicessi: lo sai che si peggiora;
fin qui le cose sono andate sempre più male.
Ti soffochi nella tua propria stanza. – O neppure questo!
Soltanto ti tormenti piano piano e ogni cosa si annulla.

Hai solo delle domande di cui conosci le risposte.
Vano è l’interrogarsi, e ogni riscontro è inutile –
Si chiude a mo’ di sutura la cerniera della solitudine.

Derivano dal tutto l’apatia e una quiete costante:
il rubinetto perde, la tazza è incrinata;
non sei un essere silvano, eppure svaniresti in un lampo.

Ove la roccia vien sollevata, l’aria affluisce.
Mentre da lì, durante il sollevamento e il successivo
movimento della pietra, fin dove alla fine appoggia,
l’aria oppure una qualche sostanza liquida
(per lo più l’acqua, in quanto la sorte
delle pietre non suol essere tanto variegata)
è costretta a farsi da parte.
A questo processo (forse sdoppiato? ) di solito non è il caso d‘interessarsi.
Se qualcuno invita altri a porvi attenzione, quelli d’abitudine alzano le spalle,
anzi, a volte, se ne riscontra è uno sguardo di sospetto.

Hammurabi è morto, Socrate è morto, Alessandro Magno è morto,
Cesare è morto, Erasmus è morto, pure Riccardo III è morto, e sul capo di Luigi XIV
non luccica più la corona. Son morti Immanuel Kant,
Napoleone, Kutuzov, è scomparso Széchenyi e anche Rilke. Sono morti
i soffiatori di vetro di Slesia, i marinai di Marsiglia, i bottegai berlinesi,
gli arcipreti di Cinquechiese*.
I miei nonni tutti sono scomparsi, anche la mia madre se n’è andata. Io
Per adesso sono ancora vivo. (Scribo, ergo sum).
La Terra, in tutto ciò, tuttavia, rimane la stessa.
Essa nelle tenebre del cosiddetto spazio naviga.

Esiste la Foresta Nera, si dispone (anche se qua e là qualcheduno ne riceve minacce)
della giungla amazzonica.               Però se Lutero, o un ìndio
(contemporaneo di Montezuma) avesse segnato una dozzina di alberi,
                                                               oggi sarebbe impossibile ritrovar anche uno solo.
Di solito nessuno si preoccupa di questo fatto.
Ma quando scompare una cara persona, solo allora si scuote,
oppure nel caso se si vien tenuti in pugno dalla morte,
allora il cuore si stringe.                                    Se si parla,
                                                                                    si balbetta del fatal destino,
di una legge, che forse è necessaria
ma assurda e rivoltante.

A sua volta
                   – in valore di termini filosofici –
                                     ogni sollevamento di una roccia è un fatto amletico.

* N.d.T. Pécs

Mi dia, per cortesia,
due etti di perdono!
Esso è sempre opportuno
anche per le piccole birbonate
etiche (!) quelle già commesse o per quelle future.
Sì, certo, se ce n’è un po’ di più lo lasci, può rimanere.

Vedo che ha posto le giustificazioni qui,
in bella vista. – No, non posso dire
affatto che i prodotti costino troppo. Per questo prezzo,
a mio parere si presentano fin troppo bene:
fanno ricordare gli avvertimenti
per le manipolazioni genetiche degli alimenti.
No, per carità, ci mancherebbe altro!
Davvero, lo dico solo così, in generale.
Per ora la ringrazio tanto,
ma non ne ho proprio bisogno.

…Ah, bene, eccola che la vedo: lei ha anche della redenzione.
Che cos’è, una primizia? Certo che sì, è evidente dal prezzo.
E – senza che le dispiaccia – noto
che è ancora troppo verde. Vabbe’, diciamo che
l’uva è acerba*, infatti il mio portafogli è magro.
Ma in ogni caso: penso che potrò forse
la prossima volta.

* N.d.T. È anche metaforica – come tutta la poesia –, è riferimento alla fiaba (apologo) «La volpe e l’uva» di Esopo, questa frase d’affermazione è ormai diventata un proverbio che trasmette il messaggio della morale: è facile disprezzare quello che non si può ottenere....

Un tavolo per la colazione sovraccarico: tovaglioli immacolati,
succo d’arancia, cereali, uova, prosciutto, formaggi, muesli (ecc.).
Non c’è più spazio per il cestello coi panini ,
che dopo aver fatto il giro, finisce sul banco
dietro le spalle dei padroni di casa. Però non puoi neanche arrivare
alla metà delle vivande, nemmeno puoi di continuo allungare la mano
sotto le ascelle dei tuoi commensali per chiedergliele e ringraziarli
fino alla noia tanto che, anche se la secrezione del succo gastrico non si inceppa
l’appetito di sicuro si cesserebbe.
Gentilezza finta: prendi ancora, lascia pure riempirti la pancia,
non patire la fame! Approfitta dell’occasione, godila, dopo tutto
le ferie servono per rilassarsi o, meglio ancora:
per essere spensierati.
In realtà sarebbe opportuno unpo’ sbrigarsi, lo sai,
il luogo dove stiamo per andare, col tempo diventa affollato;
e non son rari il nervosismo e gli spintoni, i brontolii e l'odore acre del sudore
e simili. Anzi, già adesso – ed è la stagione! –
c’è un sacco di gente, ma almeno alla cassa
la coda non è lunga mezzo chilometro. Se tutto va bene.
– E tu senti, sempre con più crescente certezza senti che sarebbe meglio a casa.
Soltanto il problema è quello che è stato detto (non lasciando neanche
un minimo spazio ai dubbi) che tu qui sei a casa.

Quante volte ti è venuto in mente di scendere dal treno
una sera umida d'autunno, quando si può vedere il respiro,
e i lampioni della stazione hanno aloni iridescenti,
quando dalle finestre sfumate dalla bruma entra nel chiosco
dei giornali e del buffèt solo una pallida luce di lontano.
Il tuo bagaglio che anche possa sembrare tale, diviene simbolico
in quanto il contenuto, per motivi pratici è stato ridotto,
e selezionato dal tuo stesso rigore, così che anche i primi giorni
tu non debba trovare scuse per la mancanza del deodorante,
delle forbici per le unghie che ti sarebbero necessarie
o per non avere a sufficienza calze.
E, naturalmente, sei da solo, o, come è ovvio, nessuno ti attende.
(Una stanza libera ci sarà pure da qualche parte.)
E poi nel giro di qualche ora o di un giorno, o al massimo,
tra una settimana o due tutto sarebbe motivo d’un confronto, *
tra il perché torni indietro, e il perché scopri di non poter far ritorno.
* (Anche se non lo facessi da te stesso un confronto – soprattutto
se non intenderai tornare – in quell’unica occasione, poiché sarebbe
la tua voce interiore, rinchiusa in te,
che esige di sapere che cosa ti avesse trattenuto
                                                                                finora là.)

– – – Non la tua viltà ti fa vergognare,
cioè, quel che è il motivo di non salire
sul treno                  da solo, col bagaglio simbolico,
ma il fatto che non sai la causa, non la pensi/non la puoi sospettare,
o addirittura non la consideri nemmeno.

Ero un astronomo.
Instancabilmente ho scrutato il cielo e le stelle
benché abbiano parlato del futuro lontano
o del passato remoto e mai direttamente
delle “cose che mi riguardassero”.
Intorno ad alcuni pastori lucenti
sugli infiniti campi di color ebano
mandrie di stelle placidamente pascolavano;
e tra esse le sere d’estate stelle cadenti
come cani da pastore zigzagavano.
Poi è scoppiata la guerra.
Il mio cuor si affliggeva per il telescopio
svenduto per bisogno,
che era il migliore del Paese,
(secondo me il miglior telescopio dei cinque continenti),
allora valeva poco:
ma senza modifiche era perfetto
per l’utilizzo della difesa aeronautica.
Ho dovuto liberarmi di esso
– senza dubbio lo avrebbero confiscato –;
l’astronomia come un divertimento da signori era considerato.
Poi le stelle parlavano
di un passato assai lontano o di un futuro troppo distante –
il nemico, per così dire, non fa differenza:
ospedale, mulino, teatro, osservatorio ...
La miglior difesa è l’attacco.
Le sere d’estate erano piene di rombi nei cieli
e degli stridii delle sirene,
riflettori abbaglianti spazzavano l’etere.
Mentre mi armavo coi miserabili soldi ricavati
dal mio telescopio liquidato
ed imparavo a maneggiare le armi
è insorta la pace.
La gente ha tirato un sospiro di sollievo (prima han vissuto
nella febbre della guerra, poi nella paura e nell’assillante sfera nichilista
e poi vivevano nell’ebbrezza della pace e della vita salvata);
le armi non erano più ricercate
ma piuttosto il cibo – così son sceso
dal cielo sulla terra.
Naturalmente privo di denaro
non potevo acquistare un terreno, ero contento
di vendere i miei arnesi militari per la fonderia di ferro.
Ho affittato un piccolo terreno, un frutteto
dalle schegge qua e là distrutto
(“ho patito la fame” per metterlo in sesto)
ho piantato fili di ortaggi ben sistemati.
Il raccolto del primo anno era ancor magro;
noi non possiamo comandare la natura –
non si può in breve ricavare il profitto dell’orto.
Nel secondo anno, le piante salvate hanno fatto uno sforzo,
ma il frutteto da poco trapiantato non dà ancor alcun frutto.
Nel terzo anno, prima del raccolto
la guerra è scoppiata di nuovo.
Il giorno fumo – chiese, foreste, raffinerie in fiamme –
la notte lampi in alto, lampi in basso: bombardamenti.
Giorni e notti eran mescolate, pure le stagioni venivan turbate.
Terrificanti piaghe laceravano la terra.
– Ho difeso me stesso e tutto quello che mi è stato indicato
con ciò che l’esercito mi ha dato.
A stento son sopravvissuto, ora di nuovo c’è la pace (...).
Non so ancora che cosa potrò fare.
– Forse non ci sarà più la scienza civile.
                                                            Non m’importa.
Se (e sarà probabile) non potrò più
scrutare il cielo col telescopio,
è sicuro che da oggi anche con gli occhi nudi
e da solo osserverò soltanto le stelle
e mai il volto della gente, né i germogli del frutteto,
neppur le gonfie nuvole innanzi al sole.
Ascolto solo ciò che dicono le stelle,
non faccio caso delle cose vane nella mia vita,
snobbo tutto ciò che non può essere smentito o giustificato
che nulla concerne a questo popolo-formica (compreso me)
m’occupo solo dei fatti a me riguardanti.